AVERSA – Ci sono voluti quasi tre anni per arrivare al rinvio a giudizio del personale del Nuovo Policlinico di Napoli sott’inchiesta per la morte della piccola Ayo Okesola, bimba di 4 anni, che non si è più risvegliata dopo un banale intervento di ernia ombelicale.

Omicidio colposo e falso ideologico è l’accusa di cui dovranno rispondere 3 medici, 2 infermieri e uno specializzando. Oltre alle responsabilità mediche, infatti, il pubblico ministero ha anche contestato il tentativo di alterare la cartella medica per cercare di coprire le eventuali responsabilità del personale del reparto di chirurgia pediatrica.

Il processo, però, dovrebbe iniziare soltanto il 6 marzo 2014. Un altro anno di dolore e sofferenza per il padre della bambina, Mobo, che, da quel maledetto aprile del 2010, non riesce a darsi pace per quanto accaduto e che non è disposto ad attendere un altro anno in silenzio.  La sua vita è stata duramente provata da due lutti gravissimi, poco prima della figlia, infatti, ha perso la moglie per le conseguenze di un cancro sviluppatosi in pochissimo tempo.

“Abbiamo presentato un’istanza per anticipare l’udienza – ci spiega l’avvocato di parte Alfonso Quarto – siamo in attesa della decisione del giudice. Siamo soddisfatti per l’esito dell’udienza preliminare, che ha visto il rinvio a giudizio di tutti gli imputati e la costituzione di parte civile”.

Mobo ha dalla sua parte la consulenza tecnica sull’autopsia firmata dai professionisti Abruzzese, Perna, Renda e Tarsitano dove si attesta che la piccola Ayo morì per un arresto cardiaco dovuto ad una paralisi dei muscoli respiratori: “indotta sia dalla via di accesso dell’ago spinale D12 decisamente alta, sia dal dosaggio della marcaina (10 mg) al posto dei 5 mg utili”.

“L’intervento  – si legge ancora – poteva ben essere posto in essere con un’anestesia locale o con un’anestesia generale e non trova alcuna motivazione la scelta di un’anestesia spinale che esponeva la paziente ad un rischio spropositato rispetto alla modestia dell’intervento chirurgico.  Dopo l’intervento la paziente fu trasferita dalla sala operatoria al proprio letto ove non fu mai monitorata dall’anestesista e di lì a poco si verificò il crollo delle condizioni cardiorespiratorie ed il decesso.  Ciò premesse, riteniamo che si debba ravvisare colpa professionale dell’anestesista per imperizia sia per la scelta del tipo di anestesia, sia per l’errata via d’accesso D12, sia per la somministrazione di un elevato dosaggio di marcaina e per negligenza per non aver  monitorato adeguatamente il post operatorio”.

“Se la piccola paziente – concludono gli esperti-  fosse stata trattenuta in sala operatoria in doverosa osservazione, si sarebbe potuto, verosimilmente, fronteggiare adeguatamente la crisi cardio respiratoria. La piccola paziente fu riportata in camera operatoria dall’infermiera ormai in arresto cardiaco e tenuto conto del riferito del genitore (cute fredda al termotatto), allorché lo stesso era divenuto già irreversibile”.

“Vorrei sapere – ci spiega Mobo che qualche anno fa scrisse anche una lettera al presidente della Repubblica per chiedere verità e giustizia sul decesso di sua figlia – se chi ha provocato tutto questo non possa fare del male ad altre persone”. Scuote le spalle, abbassa lo sguardo triste e va via. Lui, che è venuto da lontano, nonostante tutto, ha ancora tanta fiducia nella giustizia italiana.

 

Angelo Golia

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