Nel periodo post Covid (speriamo vivamente che il peggio non ritorni mai più) discettare di leggi e sistemi elettorali è come spiegare la differenza qualitativa tra un televisore 8k e quello 4k al viandante che si ritrova solo da giorni nel mezzo del Sahara. Forse solo nel dopoguerra gli italiani hanno avuto più sete di risposte concrete da politica e istituzioni. Allora c’erano macerie. Oggi bisogna ripartire dopo uno stop all’economia che ha già messo in ginocchio migliaia di imprese e milioni di lavoratori e di nuclei familiari, soprattutto quelli che popolano la parte meno comoda dello Stivale, quel Sud di cui si parla a colpi di slogan da un quarantennio che però, governo che viene e governo che va, è sempre puntualmente rimasto nella parte bassa dell’agenda dei partiti. Come se nella collocazione geografica (il Sud del mondo) ci fosse un destino segnato. In peggio. Purtroppo. Ma anche in tempo di crisi dalle leggi elettorali passa un principio fondamentale sancito dalla Carta costituzionale, quello della rappresentanza democratica. E allora pur di risultare impopolari invitiamo il pellegrino del deserto a resistere per un attimo alla sete per riflettere sul sistema distorto della Regione Campania. Perché la democrazia è come l’aria: ne comprendiamo appieno l’importanza solo quando ci viene sottratta. Alla competizione del 20 e 21 settembre, che ha sancito il trionfo di Vincenzo De Luca, è venuto a galla l’iceberg di un sistema elettorale astruso. In alcuni casi folle. La punta del blocco di ghiaccio era già chiaramente visibile nelle precedenti tornate elettorali. Stavolta l’esito delle urne è un caso clinico. Si è acceso il lampeggiante del 118. La democrazia è stata trasportata d’urgenza in terapia intensiva. Non stiamo qui ad addentrarci nei meandri labirintici della legge campana per il rinnovo del consiglio regionale (metodo D’Hondt, ripartizione dei seggi in base alle percentuali delle liste, ecc.) altrimenti il viandante assetato non esiterebbe a utilizzare le sue ultime forze per strozzarci. E ne avrebbe tutte le ragioni.

I CONTI NON TORNANO, LE PREFERENZE NEPPURE

Ci limitiamo a fornire solo alcuni numeri con tanto di tabelle del ministero dell’Interno allegate in basso. Numeri che dimostrano due aspetti. Il primo: chi ha approvato la legge elettorale in vigore in Campania ha bisogno della camicia di forza perché è pericoloso per sé e per gli altri. Il secondo: l’insensatezza della norma va a totale detrimento degli spazi democratici, cioè non rappresenta la vera volontà degli elettori. Facciamo qualche esempio. Nella circoscrizione di Napoli il Pd incassa la bellezza di 198.823 voti, pari al 16,80 per cento. Va alla grande anche la lista De Luca Presidente che ottiene il 15,35% con ben 181.680 croci sul simbolo. Sapete quanti seggi, cioè consiglieri regionali, portano a casa a testa? Quattro i dem, quattro i seguaci del governatore. Nella stessa circoscrizione Centro democratico racimola 32.421 voti fermandosi a un misero 2,74%. In proporzione il partito di Tabacci doveva restare a mani vuote. Grazie al miracolo del sangue di San Gennaro del 19 settembre si poteva aggiudicare uno scranno. E invece si è messo in saccoccia addirittura due seggi. In sostanza nonostante Centro democratico abbia ottenuto meno di un sesto dei voti del Pd si è aggiudicato la metà dei posti spettanti ai democrat. Beffa simile ai danni della lista De Luca Presidente. Per comprendere meglio la follia del sistema elettorale campano basta dare un’occhiata ai voti di lista di Italia Viva, Fare Democratico-Popolari e Campania Libera. Tutti e tre gli schieramenti ottengono di gran lunga più voti di Centro democratico. Iv prende 79.622 voti (6,73%), a Fare Democratico-Popolari vanno 57.487 preferenze (4,86%), Campania Libera mette in cascina 49.188 voti (4,16%). Anche la massaia non avrebbe dubbi: queste liste avranno certamente ottenuto più consiglieri regionali di Centro democratico. No, per niente. Pur raccogliendo più consensi hanno preso un seggio in meno rispetto al partito di Tabacci. A Iv, Fare Democratico-Popolari e Campania Libera è stato assegnato un consigliere cadauno mentre Centro democratico ne ha guadagnati due. Stessa sorte fortunata per i Liberaldemocratici-Moderati che con un risultato peggiore (40.462 voti, pari al 3,42%) festeggiano con un seggio in più rispetto a Fare Democratico-Popolari, Campania Libera e al partito di Renzi. Pazzesco. Il Tso è inevitabile quando si spulcia tra le preferenze dei candidati. Si scopre, restando nella circoscrizione napoletana, che Enza Amato, primo dei non eletti del Pd, ottiene più voti dei tabacciani Giovanni Mensorio e Raffaele Pisacane (famiglia immarcescibile, padre, moglie e figlio consiglieri regionali) messi assieme. E il secondo dei non eletti tra i dem, Gianluca Daniele, doppia addirittura le preferenze di Giuseppe Sommese e Pasquale Di Fenza, eletti nelle fila dei Liberaldemocratici-Moderati.

Nel collegio di Napoli dare più voti a un partito piuttosto che a un altro è risultato irrilevante anche nel fronte del centrodestra. Dai numeri si direbbe che anche qui i seggi siano stati attribuiti con il lancio della monetina. Ecco i risultati. Fratelli d’Italia: 62.230 consensi, pari al 5,26%, due seggi. Forza Italia: 60.756 preferenze, pari al 5,13%, un seggio. Lega: 48.571 suffragi, pari al 4,10%, un seggio. Unione di Centro: 27.699 voti, pari al 2,34%, un seggio. Il partito di Berlusconi e quello di Salvini con più del doppio dei consensi dell’Udc si devono accontentare del pareggio con i centristi con un solo consigliere. Il medesimo obbrobrio si registra sul versante del centrosinistra nella circoscrizione di Avellino, dove il Pd pur quasi triplicando la percentuale di Davvero-Partito animalista conquista un solo posto utile. Per gli animalisti doppio bingo. Raccolgono meno preferenze della lista De Luca Presidente (quindi meno punti percentuale) ma al raggruppamento del governatore non viene attribuito nessun seggio. È come se al termine del campionato di Serie A lo Scudetto fosse assegnato alla seconda classificata. Un horror di Takashi Miike è meno terrificante.

A CASERTA IL PD VOLA MA OTTIENE LA METÀ DEI SEGGI

Nella circoscrizione della provincia di Caserta avviene l’impossibile. Si va “al di là del bene e del male”, direbbe Nietzsche. Un primo schiaffo alla democrazia che grida vendetta è rappresentato dalla ripartizione dei seggi tra maggioranza e opposizione. A fronte del 66,04% del centrosinistra, cioè due terzi dei suffragi, la coalizione incamera solo 4 seggi su 8. Prima o poi qualche scienziato pazzo ci dovrà pur spiegare come sia possibile che nonostante una vittoria così schiacciante lo schieramento pro De Luca non vada oltre un misero pari. Gli avversari del centrodestra sono stati distanziati di ben 44 punti percentuale. Il Movimento 5 Stelle ha accumulato un distacco abissale di 56 punti. E il paradosso è che nemmeno con l’80% dei consensi il centrosinistra avrebbe battuto i rivali 5 a 3. Che senso ha contare i voti se poi i voti non contano? Come a Napoli anche in Terra di lavoro il Pd è il partito più penalizzato. Hanno barrato il simbolo dem 65.773 elettori casertani. Un dato che si traduce nel 17,20 per cento. Il secondo miglior risultato in Campania. È la prima volta che alle regionali i democrat napoletani e quelli salernitani leggono una targa che inizia con CE.

Poi c’è il caso Stefano Graziano. Che, per come sono andate le cose, può interpretare il ruolo da protagonista sia in una tragedia euripidea che in un racconto kafkiano. Il consigliere regionale uscente è stato sommerso da una valanga di preferenze. Per la precisione 17.763. Da solo ha preso la metà dell’intera lista dei 5 Stelle. Sei volte tanto i consensi di Salvatore Aversano, eletto con i pentastellati. Se non fossimo in un manicomio elettorale Graziano avrebbe già preparato l’abito da indossare per il giuramento. Ma di normale nella legge in questione non c’è proprio nulla. E Graziano è incredibilmente out. Al Pd è andata una sola poltrona di velluto rosso. La occuperà Gennaro Oliviero. Con merito. Uno dei decani del parlamentino campano ha calamitato 20.143 preferenze. Una cascata del Niagara di consensi. Ben 5mila in più rispetto al 2015. Lo “Squalo buono” quando sente odore di voti rotea gli occhi e azzanna senza lasciare scampo. Il nuovo stratosferico exploit è un inequivocabile attestato di lode da parte degli elettori. Un modo esplicito per dire: “onorevole Oliviero, hai lavorato bene per il territorio, sei stato bravo e noi ti votiamo”. Insomma un successo tributato all’uomo e al politico, a differenza dell’altro uscente Michele Zannini che ha decuplicato i voti, passando da 2mila a oltre 21mila, per altre dinamiche elettorali. Di fronte a Gennaro Oliviero bisogna alzarsi in piedi e stringergli la mano.

IL CASO GRAZIANO, OUT CON QUASI 18MILA VOTI

Resta però il vulnus democratico lasciato dal caso Graziano. Che, sia chiaro, non deve essere liquidato come una vicenda personale, seppur siamo di fronte al primo dei non eletti più votato della Campania. All’interno del Pd la sua esclusione va inquadrata in una cornice politica più ampia. La provincia di Caserta non ha alcuna rappresentanza parlamentare dem. Terra di Lavoro è stata zona di caccia per la toscanaccia Valeria Fedeli che siede al Senato e di Piero De Luca, figlio di cotanto padre, approdato alla Camera dei deputati passando per la Reggia vanvitelliana. E ora i dem perdono anche un componente nel consiglio regionale. Una provincia con quasi un milione di abitanti non può restare ai margini nelle scelte di Palazzo Santa Lucia. Il Pd casertano non può essere affossato nel suo momento migliore sul piano elettorale. Altrimenti rischia di non reggere all’urto. C’è un leader forte, riconosciuto che rappresenta un’ampia fetta del territorio. Ma c’è anche gente come Graziano e Lucia Esposito che assieme superano i 25mila voti, poco meno di quelli raccolti dall’intera lista di Fratelli d’Italia, 5mila in più di quelli di Forza Italia. Sarebbe un crimine contro la democrazia mettere in freezer un bacino di consensi così ampio e diffuso. Sarebbe un colpo letale a una provincia, quella di Caserta, da sempre bistrattata dai vertici nazionali e regionali del Pd. La legge elettorale è mostro senza testa. Lo dicono i numeri. E la matematica non è un’opinione. Spetta ora alla politica correre ai ripari. Oliviero ha tutte le carte in regola per essere il vice di De Luca. Ha la competenza e l’esperienza per ricoprire al meglio un ruolo operativo, in prima linea. I salernitani sono ampiamente “tutelati”, non vi pare? L’ingresso in giunta di Oliviero spianerebbe la strada al ripescaggio di Graziano. In un baleno la presenza in Regione dei democrat casertani raddoppierebbe. Uno grosso spiraglio per tornare in gioco si aprirebbe anche per Lucia Esposito. Diventerebbe la prima dei non eletti. La Fedeli potrebbe abbandonare il Senato per far parte dell’esecutivo del neogovernatore Eugenio Giani. Un’ipotesi confermata da più parti in quanto l’ex sindacalista ha voglia di tornare in pianta stabile nella sua terra. In caso di fumata bianca si produrrebbe un immediato effetto domino. Graziano varcherebbe i cancelli di Palazzo Madama e la Esposito tornerebbe in consiglio regionale. Per i dem casertani giustizia sarebbe fatta.

NON SERVONO SCEICCHI MA SCELTE CONDIVISE

Il voto grida vendetta anche per i candidati del Pd di Napoli. Almeno Enza Amato va rimessa nella mischia. Se possibile anche Gianluca Daniele. In due hanno raccolto 30mila voti. Per la presidenza del consiglio chi è più indicato di Mario Casillo? Mister 42mila preferenze è un galantuomo ben visto e rispettato anche dall’opposizione. Sarebbe davvero e sempre super partes. È un’utopia? Tutt’altro. C’è un unico modo per rimediare alla schizofrenia di una legge elettorale infame. De Luca deve varare una giunta politica. Quanto meno mista. Con il gruppo consiliare dimezzato il Pd partenopeo ha già versato troppo sangue per la parcellizzazione della coalizione. Consentire al governatore di presentarsi con 15 liste è stato un errore fatale quanto imperdonabile. Il prezzo è stato salatissimo. Adesso incombe un rischio maggiore. Demandare tutte le scelte a De Luca. Con un sistema elettorale da ospedale psichiatrico criminale (ci auguriamo che i pazzi rinsaviscano e lo cambino subito) tenere un uomo solo al comando sarebbe il peggiore degli scenari possibili. Purtroppo ci aspettano tempi duri. E il viandante del Sahara ha bisogno di acqua per attraversare il deserto. Guai a mettere il suo destino nelle mani di uno sceicco. La democrazia è come l’aria: ne comprendiamo appieno l’importanza solo quando ci viene sottratta.

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