È morta a 73 anni per una patologia polmonare ordinaria protrattasi per alcuni mesi (mai diagnosticata nonostante le evidenze radiologiche e di laboratorio) e probabilmente curabile a mezzo di terapia idonea e tempestiva mai somministrata dai vari sanitari. La causa diagnosticata, in pratica, è stata di collasso cardiocircolatorio e respiratorio irreversibile con marcata congestione, edema polmonare e polmonite interstiziale con microtrombi ematico-fibrosi il tutto compatibile con una patologia infettiva virale, si legge nella relazione autoptica. Nonostante la denuncia dei familiari e l’esito degli accertamenti irripetibili che – come scrive il gip Giandomenico D’Agostino – hanno evidenziato «condotte negligenti nella gestione della paziente sia a carico degli operatori del pronto soccorso, in quanto l’hanno dimessa contro la volontà dei familiari e senza procedere ad ulteriori accertamenti che il caso avrebbe richiesto», la procura di Salerno aveva chiesto l’archiviazione per i quattro indagati, operatori sanitari della clinica dove – dopo le dimissioni dal pronto soccorso dell’ospedale di Castiglione di Ravello – era stata ricoverata e dove, dopo due giorni dal suo arrivo, è morta in un veloce precipitare delle sue condizioni. Contro la richiesta della procura si è opposta la famiglia della donna, originaria di Maiori, attraverso l’avvocato Vincenzo Rispoli il quale ha presentato una articolata memoria di trenta pagine in cui ha riportato all’evidenza del tribunale di Salerno una serie di prove che avrebbero convinto il gip non soltanto a rigettare la richiesta di archiviazione ma anche ad «ordinare» ulteriori accertamenti investigativi. L’indagine, dunque, potrebbe estendersi agli operatori del pronto soccorso dell’ospedale della Costiera ed anche al medico di base della paziente poi deceduta. Tra l’altro, nonostante ci fosse l’emergenza Covid, la 73enne – si legge nelle carte – non sarebbe neanche stata sottoposta a test antigenico.

Il calvario della 73enne, con patologie psicologiche regolarmente curate ma non così drammatiche da portare alla morte, e della sua famiglia inizia già ad ottobre del 2020 quando la signora avverte un dolore che da un braccio si estende all’altro. Iniziano così i controlli, le indagini radiografiche, le prime terapie fino a quando la signora non ha un collasso e viene portata in ospedale a Castiglione di Ravello dove i sanitari non ritengono necessario il ricovero. Anzi, nelle dimissioni scrivono che è stata la stessa paziente «a rifiutare il ricovero» e che le analisi eseguite erano «buone». Dettaglio, questo del ricovero rifiutato, contestato anche dalla famiglia. A stretto giro le condizioni di salute della donna peggiorarono e la famiglia decise di ricoverarla in una casa di cura specializzata nell’assistenza degli anziani. Secondo una prima ricostruzione dei fatti effettuata dalla procura, già subito dopo il ricovero l’anziana avrebbe accusato delle problematiche: i familiari furono infatti contattati dal responsabile della struttura che segnalò un’aritmia cardiaca. L’episodio allarmò il marito e i figli i quali chiesero al responsabile della casa di cura se fosse necessario l’intervento del 118 per disporre il ricovero della paziente in una struttura ospedaliera. A prova di ciò, nelle carte, c’è anche una lunga telefonata tra i familiari e il 118 per chiedere di ricoverare la 73enne in ospedale. Ma il medico non lo ritenne necessario. In seguito a rassicurazioni, i familiari monitorarono costantemente le condizioni della 73enne senza però poter accedere alla struttura a causa dell’emergenza Covid in corso. Fino a quando, due giorni dopo la segnalazione dell’aritmia, non furono chiamati ed avvisati del decesso della propria cara. Una doccia fredda che ha poi spinto la famiglia a voler capire quali siano stati i motivi della morta. Di qui la denuncia presentata dai familiari nella quale si fa poi riferimento al particolare che l’anziana è stata ritrovata con gli stessi abiti con i quali si era presentata nella casa di cura al momento del ricovero.

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