di Mario De Michele

Che la piaga della droga si configuri come “un’allerta sociale di livello rosso” non vi è dubbio. Che per combatterla sia necessario “il contributo di tutti” è altrettanto irrefutabile. Idem per il dilagare della violenza. Ma l’appello del sindaco di Orta di Atella Antonino Santillo, che ha annunciato una marcia per la legalità per il 30 settembre, in occasione dell’81esimo anniversario dell’eccidio dei Martiri Atellani, è claudicante (post in basso). La fascia tricolore enuclea gli effetti di problematiche sotto gli occhi di tutti senza soffermarsi con profondità di campo sulle cause. È questa la gamba mancante di un’analisi in parte condivisibile ma carente nella valutazione complessiva. Perché l’allerta è di livello rosso? Perché, ancora una volta, Orta di Atella è al centro del dibattito per un altro primato negativo? Perché la piaga si è allargata? Il consumo e lo spaccio di stupefacenti non è un prodotto “doc” locale. Da molti anni il fenomeno è purtroppo in galoppante espansione in tutt’Italia. E allora perché nella città atellana si paga uno scotto maggiore? Per connotare di concretezza la marcia per la legalità bisogna scongiurare un rischio ab origine: non è una questione antropologica. Per capirci, Orta di Atella non è una città “maledetta”, destinata al peggio per chissà quale malefica profezia. È una città che ha toccato il fondo e non è riuscita a risalire, certo. Ma qui ci sono responsabilità diffuse. A partire dagli amministratori e dalla classe dirigente. Questo è il punto trascurato da Santillo. Una dimenticanza non da poco. Se non si parte dalle cause è impossibile affrontare con il piglio giusto gli effetti. Nel suo appello il sindaco è apparso come un medico che prescrive una terapia senza un’analisi clinica e diagnostica della patologia. Per mettersi in marcia contro l’illegalità bisogna partire dall’inizio del percorso, altrimenti si taglia il traguardo dell’inutilità. Peggio ancora: si corre il serio rischio di affibbiare un altro marchio mefistofelico alla città perché si affronta il problema dal verso errato. Una marcia all’incontrario, cioè partendo dalla coda e non dalla testa, produrrebbe danni forse irrimediabili. Sia chiaro, Santillo è animato da buone intenzioni ma di buone intenzioni è lastricata la via dell’inferno. Una mobilitazione generale contro l’illegalità ha un senso soltanto se accompagnata da una dettagliata cartina geografica delle problematiche della città. Come non partire, ad esempio, dal degrado urbano? Come ignorare l’assenza di parchi pubblici degni di questo nome? Come trascurare il cronico deficit strutturale delle scuole? Come voltare lo sguardo di fronte al tema della vivibilità? Tutte questioni che attengono all’ordinaria amministrazione. Ecco il punto nodale: senza garantire i servizi essenziali ai cittadini la parola legalità si tramuta in un termine vuoto. E la mobilitazione generale auspicata da Santillo perde di significato. Non è una disputa ontologica ma pratica. Non si mette in discussione l’iniziativa in sé che, ripetiamo, è lodevole ma la mancanza di una disamina accurata e profonda dei problemi della città. Perché se non si parte da lì la marcia sarà un girotondo. Un camminamento che non conduce da nessuna parte, come dieci minuti di cyclette. “La piaga della droga – ha scritto il sindaco – è una minaccia insidiosa che sta prendendo piede sul nostro territorio e che mina il nostro tessuto sociale, colpisce le famiglie e sta mettendo in serio pericolo la vita dei nostri ragazzi”. Tutto vero. Ma il tessuto sociale è prima di tutto minato dall’incapacità politico-amministrativa di rendere Orta di Atella una città normale. Le famiglie vengono colpite dall’assenza di efficaci interventi sociali. I ragazzi sono penalizzati perché vivono in un deserto privo di spazi pubblici e di infrastrutture fruibili. Prima di marciare per la legalità è necessario muovere passi da gigante sul piano politico-amministrativo. Prima di marciare per la legalità bisognerebbe marciare per la normalità.

L’APPELLO SOCIAL DEL SINDACO ANTONINO SANTILLO

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