Due o tre incontri “monitorati” dai Carabinieri con l’imprenditore Alessandro Zagaria, arrestato poi con l’accusa di associazione camorristica per legami con il clan dei Casalesi. E alcune conversazioni telefoniche in prossimità e dopo le elezioni regionali del 2015 in Campania, compresa una in cui avrebbe espresso gratitudine a Zagaria per il successo elettorale. Sono alcuni – o forse al momento i soli – elementi in possesso dei magistrati della Dda di Napoli alla base della ipotesi di concorso esterno in associazione mafiosa formulata nei confronti del presidente (autosospesosi) del Pd della Campania e consigliere regionale Stefano Graziano. L’ipotesi investigativa è che Graziano abbia rappresentato “uno stabile punto di riferimento politico” per il clan il quale avrebbe offerto in cambio il proprio sostegno elettorale. Una pista da verificare per i pm che hanno individuato come elemento di riscontro l’impegno che l’esponente politico avrebbe profuso per evitare che venissero bloccati i finanziamenti per il restauro dello storico Palazzo Teti Maffuccini di Santa Maria Capua Vetere, un appalto che stava a cuore ad Alessandro Zagaria e che sarebbe finito al centro di un giro di tangenti. Graziano si sarebbe adoperato presso il ministero dell’Interno – che gestisce i beni confiscati, come nel caso di Palazzo Teti Maffuccini – perché il finanziamento venisse inserito in un diverso capitolo, allo scopo di non perdere i fondi. Un’iniziativa che se da un lato non si configura come illecita, dall’altro rappresenterebbe un indizio concreto sui rapporti con Alessandro Zagaria (solo omonimo degli esponenti della cosca Zagaria) con la camorra che sarebbero emersi successivamente nel corso delle indagini. Intanto prosegue l’inchiesta coordinata dal procuratore aggiunto Borrelli e dai pm della Dda partenopea Giordano, Sanseverino, D’Alessio e Landolfi. Oggi ha respinto ogni accusa l’ex sindaco di Santa Maria Capua Vetere Biagio Di Muro, durante l’interrogatorio di garanzia durato tre ore nel carcere di Poggioreale davanti al gip Anna Laura Alfano. Di Muro ha negato di aver intascato tangenti e ha affermato di ignorare i presunti rapporti con il clan dei Casalesi dell’imprenditore Alessandro Zagaria. Si è invece avvalso della facoltà di non rispondere lo stesso Alessandro Zagaria, ritenuto dalla Dda l’anello di congiunzione tra il clan guidato dal boss Michele Zagaria, e l’amministrazione comunale di Santa Maria Capua Vetere. Alessandro Zagaria, difeso da Antonio Abet, è accusato di associazione camorristica, mentre per Di Muro, così come per gli altri sette indagati finiti ieri ai domiciliari, i reati contestati a vario titolo sono corruzione e turbativa d’asta, con l’aggravante di aver agevolato il clan camorristico casertano. Di Muro, in carica come sindaco fino alla fine di novembre 2015, ha spiegato che i rapporti con Graziano erano solo politici. Ed ha confermato che l’esponente del Pd si è interessato della vicenda di Palazzo Teti. Di Muro, assistito dagli avvocati Giuseppe Stellato e Raffaele Crisileo, ha escluso rapporti tra l’esponente Pd e Alessandro Zagaria. L’ex sindaco ha specificato di non sapere dei presunti legami con gli ambienti malavitosi di Zagaria, al quale era legato da semplici rapporti di amicizia, e di non aver mai preso alcuna tangente per truccare la gara d’appalto di Palazzo Teti, ma di aver sollecitato la conclusione della procedura solo perché attaccato dagli esponenti dell’opposizione in seno al Consiglio Comunale che lo accusavano di inerzia su quell’immobile confiscato nel 1996 alla sua famiglia, in particolare al padre Nicola, ex vicesindaco di Santa Maria Capua Vetere. Per la Dda invece Di Muro, assieme al dirigente comunale finito ai domiciliari, Roberto Di Tommaso, avrebbe ricevuto dai due imprenditori che si sono aggiudicati i lavori una tangente di 70 mila euro mentre un altro componente della commissione di gara, Vincenzo Manocchio, anch’egli arrestato, avrebbe intascato 30 mila euro.

 

 

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